STORIA DELL'IMPLANTOLOGIA


- METODI IMPLANTARI -



Esistono tre metodiche implantologiche:


IMPLANTOLOGIA SOMMERSA (o “a due tempi”, o “a carico tardivo”; scuola svedese di Branemark)

Si avvale di impianti in titanio di forma prevalentemente cilindrica, o cilindrico-conica. 

Vengono inseriti nell’osso, previa incisione e scollamento della gengiva.

Poi sono lasciati a riposo, sepolti e senza poter essere utilizzati, per alcuni mesi (da 4 a 6, secondo le indicazioni classiche).

Si attende così la rigenerazione del tessuto osseo, la cosiddetta “osteointegrazione”.

A distanza di qualche mese si esegue una piccola incisione della gengiva per evidenziare nuovamente gli impianti ed avvitare ad essi la componente emergente (moncone), che porterà la protesi (uno o più denti artificiali).

Tale protesi può essere, a seconda del numero di impianti utilizzabili, sia mobile che fissa (avvitata o cementata agli impianti).

E’ la metodica più moderna, nel senso di nascita e applicazione.

Va diffondendosi perché la standardizzazione  dei protocolli chirurgici e protesici, la rendono accessibile ad un numero più vasto di operatori; si basa infatti sull’adattabilità del paziente all’impianto, escludendo i casi con osso insufficiente, salvo sottoporre il paziente ad un preventivo intervento di “aumento dell’osso”, prelevandolo dal cranio o dal bacino od anche con osso artificiale. 

Interessa oggi molto l’industria produttrice, che attua e finanzia  il relativo “marketing scientifico”.


IMPLANTOLOGIA EMERGENTE (o “ad un tempo”, o “a carico immediato”; scuola italiana di Garbaccio - Mondani - Muratori - U.Pasqualini - S.Tramonte e americana di Linkow)

Gli impianti in titanio, sono monoliti, cioè un pezzo unico; hanno forma più allungata rispetto ai precedenti, poiché la parte emergente nel cavo orale è costituita dal prolungamento della vite stessa.

Sono mediamente  più sottili, sino anche al diametro di “aghi”.

Possono essere inseriti direttamente nell’osso anche senza incisione della gengiva, con un intervento chirurgico quindi meno cruento.

Ottengono una stabilità immediata, perché l’operatore ricerca zone di osso duro (corticale) ove impattarli, in profondità.

Talvolta si realizzano strutture implantari a tripode o a palizzata con l’unione dei singoli impianti tra di loro o per mezzo di barrette di titanio, mediante  elettrosaldatura all’interno del cavo orale.

La struttura così ottenuta (il “tripode-cavalletto” o  il “muretto”), è in grado di essere caricata immediatamente con una protesi provvisoria cementata.

Dopo aver atteso comunque del tempo, affinchè l’osso possa integrare le spire degli impianti, si procede con la protesizzazione definitiva, anch’essa cementata.

E’una metodica che data più anni di applicazione.

Non è attualmente oggetto di massiccia divulgazione per la scarsa codificabilità; è infatti richiesta una particolare  versatilità dell’operatore, basandosi sull’adattamento dell’impianto alla situazione ossea del paziente. 

Complessa la metodologia ad Aghi.

Attualmente la produzione, a rigorosa norma CEE,  non ha interessi di marketing e non è attualmente finanziata una ricerca scientifica al riguardo.

Alcuni Centri Universitari, recentemente,  la sostengono si per le vaste  potenzialità, sia anche per la valenza “sociale”.


IMPLANTOLOGIA IUXTAOSSEA (o sottoperiostea)

Questo tipo di impianto non viene inserito nell’osso ma tra osso e gengiva, collocato tra l’osso stesso ed il suo “rivestimento”, il periostio.

Ogni impianto è un manufatto unico e la sua preparazione richiede un discreto intervento chirurgico di scollamento delle gengive al fine di rilevare un’impronta di tutto l’osso sottostante sulla quale poter modellare una griglia di appoggio.

Un successivo intervento a breve distanza permetterà l’inserimento della griglia al di sotto del periostio ma sopra l’osso.

Dalle gengive emergono alcuni prolungamenti della griglia, che serviranno a trattenere la protesi.

E’ uno dei primi metodi sperimentati.

Oggi tende ad essere sostituito dalle metodiche precedenti di più facile applicabilità e con percentuali di successi maggiori.

La moderna implantologia utilizza piccole staffe per applicazioni iuxtaossee, unite ad impianti endossei mediante elettrosaldatura intraorale, nelle regioni molari superiori e in soggetti con seni mascellari espansi e poco osso per inserire viti in profondità, così evitando interventi chirurgici di rialzo del seno.

L’operatore deve essere un “ultraspecialista”.

In certi casi di assenza gravissima di osso, è l’unica implantologia applicabile.

L’industria è pressochè disinteressata; la produzione è affidata all’artigiano odontotecnico, come dispositivo su misura.

 

 

Vedi anche l'articolo: "L'unica Implantologia: la polemica"

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