IMPLANTOLOGIA: STORIA DEL CARICO IMMEDIATO

di Silvano Tramonte

L’implantologia endoossea  a carico immediato trae le sue origini remote nella notte dei tempi dai primitivi tentativi di sostituire i denti perduti con pezzi d’avorio, di madreperla o d’oro, ma possiamo dire che l’era moderna dell’implantologia a carico immediato inizia in Italia alla fine degli anni cinquanta quando un oscuro odontoiatra, appassionatosi al problema, tenta disperatamente di ovviare al numero impressionante d’insuccessi e limitazioni che affliggevano i più famosi impianti del tempo.

Il nostro sconosciuto inventore, destinato a marcare profondamente così un’epoca come tutto il mondo odontoiatrico sino ai giorni nostri ed a scatenare passioni tanto profonde quanto contrastanti, si era laureato in ritardo al rientro dai campi di prigionia della seconda guerra mondiale e si era subito appassionato all’implantologia, che però annaspava tra mille difficoltà ed era fortemente osteggiata dalle università, che, caso mai, propendevano debolmente, quando propendevano, per l’implantologia juxtaossea.

Ma, prima che d’implantologia, il nostro era appassionato di meccanica ed intuì immediatamente i punti deboli degli impianti che allora maggiormente si utilizzavano e tra cui ricordiamo le viti di Cherchève,  di Perron Andrés, di Muratori e di Linkow: il materiale impiegato inadeguato e la morfologia a spire minime e corpo cavo, priva di effettivo sostegno nell’osso.

Questi impianti erano obbligati a sopportare il carico immediato senza la reale capacità di farlo. C’era dunque bisogno di un impianto progettato appositamente per reggere quella condizione, per sopportare il carico funzionale durante la fase osteoclastica  e la guarigione ossea, restare fortemente ancorato all’osso nonostante il suo rimodellamento grazie ad un differente concetto biomeccanico: il poderoso incastro meccanico garantito da spire ampie e passo largo e la grande superficie unitaria di appoggio.

Quel giovane medico introdusse un disegno specifico per il carico immediato per ovviare ai difetti progettuali, per primo utilizzò il titanio in implantologia realizzando in pratica il primo evento osteointegrativo ed anticipando Branemark  per ovviare al materiale inadeguato,  dotò i suoi impianti di un’abbondante spazio biologico anticipando di decenni il concetto e risolvendo così semplicemente il problema del riassorbimento perimplantare, introdusse per primo le guide chirurgiche (che però abbandonò ben presto per le limitazioni che imponevano all’inserzione), e, cosa assolutamente eccezionale per quei tempi, pubblicò una casistica sorprendente: 187 pazienti trattati, 422 impiantii inseriti, 9 insuccessi di cui 3 prima della realizzazione della protesi  e 6 dopo.

Quel giovane medico era italiano e rivoluzionò l’implantologia a carico immediato nel breve volgere di pochi anni: dal 1959 al 1963.

Il suo nome era Stefano Melchiade Tramonte.

Decenni dopo le sue straordinarie intuizioni avrebbero trovato conferma dagli studi di James e Lemmons. 

Dal suo impianto derivarono moltitudini di varianti, tra le quali la più meritatamente nota è la Vite bicorticale di Garbaccio.

Dino Garbaccio comprese che gli appoggi corticali sono più stabili ed affidabili degli appoggi midollari e teorizzò il bicorticalismo creando al contempo una sua linea implantologica adeguata allo scopo.

Il bicorticalismo si dimostrò alla prova dei fatti un sussidio validissimo per il carico immediato ed è oggi parte integrante del protocollo implantologico italiano.

Nel 1972 uscì un monumentale lavoro istologico di Ugo Pasqualini che dimostrò in 2400 sezioni come la mucosa intorno alle emergenze implantari di tre viti di Tramonte ed una lama di Linkow fosse in grado di surrogare il sigillo epiteliale e senza alcun segno di flogosi, troncando l’annosa querelle sulla supposta e famigerata permanenza di una comunicazione tra medio interno e spazio esterno ed anticipando le successive acquisizioni di un sigillo epiteliale emidesmosomiale.

Per l’implantologia italiana era il trionfo che ebbe il suo culmine con l’introduzione della Saldatrice endorale di Mondani.

PierLuigi Mondani risolse egregiamente l’unico punto debole che ancora restava e rendeva il carico immediato cosa per pochi e molto esperti eletti: la ferulizzazione postchirurgica degli impianti.

Prima che Mondani ci regalasse la sua sincristallizzatrice, infatti, le manovre di ferulizzazione erano macchinose e non totalmente affidabili, oltre che pregiudizievoli per la buona igiene dei siti implantari.

La mancanza della solidarizzazione stabile mediante barra di titanio saldata direttamente agli impianti, obbligava l’operatore a conoscere un’infinità di trucchi di difficile diffusione.

La ferulizzazione mediante barra saldata è oggi un caposaldo importantissimo del protocollo di carico immediato secondo la Scuola Italiana e l’ultimo colpo di genio che concluse il processo e rese l’implantologia italiana a carico immediato un evento assolutamente predicibile, ripetibile, ed affidabile con possibilità d’intervento di gran lunga superiori all’implantologia a carico differito.