Errare umanum est, perseverare …diabolicum”

LA LOBOTOMIA: tecnica neurochirurgia. NOBEL 1934 …”per sempre”.


Poche cose sono “per sempre”.

Solo il Governo Sovietico aveva il motto: “NOI NON SBAGLIAMO MAI” (Solgenitsin).

 

La “LOBOTOMIA FRONTALE” è una metodica neuro-chirurgica messa a punto, nel 1935, dal medico neurologo portoghese Antonio Caetano de Freire Egas Moniz, nato nel 1874, laureato a Coimbra, ma anche letterato e politico (Deputato, Ambasciatore e Ministro degli Esteri).

Frequenta un congresso in America e apprende che alcuni sperimentatori calmano gli scimpanzè, che smettono  di saltare continuamente nelle gabbie, praticando la recisione chirurgica delle fibre nervose dei lobi frontali del cervello.

Moniz pensa allora di applicare la metodica sull’Uomo, presso il manicomio di Lisbona, in cui opera.

Vige una medicina poco passionevole. E’ in auge Lombroso.

I risultati sono positivi. Sia per Comunità Scientifica, sia per la Società.

Un successo. I pazienti, (i “matti”), diventano tranquilli e non urlano più.

Sono vegetali o meglio “zombie”.

E Moniz: EROE.

Addirittura  Moniz, nel 1949,  vince il Premio Nobel per la Medicina, per questo suo “contributo” alla scienza.

La lobotomia allora è entusiasticamente  reimportata negli USA, e, come spesso li succede, diviene “di massa”.

 

L’idealismo-positivistico, talvolta acritico, della Medicina americana sfocia in un’applicazione indiscriminata della Lobotomia; anche a pazienti ansioso-iperattivi o a soggetti considerati “socialmente devianti”.

Non soltanto malati mentali, ma anche criminali o  persone con disturbi comportamentali: bambini caratteriali , casalighe inquiete , omosessuali  moralmente insani.

Si distingue il dr. Walter Freeman,  neurologo della George Washington University.

Gira su e giù per gli States con un’auto denominata “lobotomobile”.

Perfeziona, si fa per dire, la tecnica di Moriz, utilizzando “scalpello e martello”.

Pratica infatti, anche a domicilio, un’incisione poco sopra gli occhi del paziente, sottoposto a scosse elettriche a fini anestetici, e poi ….via di martello-scalpello.

Gli interventi di Freeman sono parecchi; migliaia.

Le poche proteste giungono dai soliti…Comunisti dell’ Unione Sovietica, che però, a onor del vero,  “curano” i cittadini scomodi con overdose di psicofarmaci (il “neurocomunismo”).

 

Un caso famoso di lobotomia è quello di Rosemary Kennedy, sorella di John e Bob Kennedy.

Rosemary è una ragazza con ritardo mentale, iperattiva.

Ha difficoltà  scolastiche.

Il padre, Joseph Kennedy è particolarmente preoccupato per la sua condotta sessuale, un po’ troppo libera e disinvolta:  teme ripercussioni negative per la carriera politica dei figli maschi.

Allora, nel 1941, all’insaputa della moglie, fa sottoporre la ragazza a lobotomia. L’operazione riesce  “perfettamente” e Rosemary, perde ogni capacità di agire in maniera autonoma.

Vive così,  fino a 86anni, in un lussuoso manicomio, senza più infastidire  padre e fratelli.

 

La lobotomia, comunque, non porta fortuna ai suoi due sostenitori.

Infatti Moniz, Nobel a parte, viene ucciso da un paziente, forse non “perfettamente” lobotomizzato, con un colpo d’arma da fuoco alla   schiena.

E Freeman, che ammazza una donna colpendola troppo pesantemente col famigerato scalpello, viene privato dell’abilitazione professionale e quindi della licenza ad operare.

 

Ovviamente oggi la tecnica è abbandonata, verosimilmente perseguibile deontologicamente e penalmente.

 

L’orrore di questa pratica viene timidamente diffusa già nel 1958 da Tennessee Williams, fratello di una lobotomizzata, con un pezzo teatrale  titolato Improvvisamente l’estate scorsa.

Il grande pubblico ne viene a conoscenza solo nel 1975 con il film-Oscar Qualcuno volò sul nido del cuculo, interpretato da Jack Nicholson,

 

Ma sul petto di Moniz, sepolto ormai da quasi quarant’anni, resta appuntata una medaglia di un Nobel sbagliato.

E Christine Johnson,  che conduce una campagna in difesa delle vittime da lobotomia, non ha ottenuto dalla Fondazione Nobel, la revoca del riconoscimento, perché il Premio Nobel una volta assegnato, è … “per sempre”.