CORTE COSTITUZIONALE

 

Sentenza n. 100 - Anno 1989



Repubblica italiana


In nome del Popolo Italiano

la Corte Costituzionale


composta dai signori:

Dott. Francesco Saja, Presidente - Prof. Giovanni Conso - Prof. Ettore Gallo - Dott. Aldo Corasaniti - Prof. Giuseppe Borzellino - Dott. Francesco Greco - Prof. Renato Dell’Andro - Prof. Gabriele Pescatore - Avv. Ugo Spagnoli - Prof. Francesco Paolo Casavola - Prof. Antonio Baldassarre - Prof. Vincenzo Caianiello - Avv. Mauro Ferri - Prof. Luigi Mengoni - Prof. Enzo Cheli, Giudici, ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 4, 5 e 20 della L. 24 luglio 1985, n. 409 (Istituzione della professione sanitaria di odontoiatria e disposizioni relative al diritto di stabilimento ed alla libera prestazione di servizi da parte dei dentisti cittadini di Stati membri delle Comunità europee), promosso con ordinanza emessa il 10 luglio 1987 dal Tribunale di Verona nei procedimenti riuniti vertenti tra (omissis) e l’Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Verona (*), iscritta al n. 365 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42/1a s.s. dell’anno 1988 (**).

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1989 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

 

(*) Ricorso promosso da medici veronesi, trentini e padovani tramite avv.  S. Baciga di Verona presso i rispettivi Tribunali (ritirato a Trento e Padova a seguito dell’Ordinanza di rinvio alla Corte Costituzionale a Verona).

(**) Ordinanza del 10 luglio 1987 del Tribunale di Verona , iscritta al n. 365 del Registro Ordinanze 1988 (G. U. n. 42 1° Serie  Speciale del 19 ottobre 1988).

 

 

RITENUTO IN FATTO

1. - Nel corso di un giudizio volto ad accertare la sussistenza in capo agli attori del diritto a mantenere la propria iscrizione all’Albo provinciale dei medici-chirurghi, il Tribunale di Verona, con ordinanza in data 10 luglio 1987 (Reg. ord. n. 365 del 1988), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, 33, comma 5 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, 5, e 20 della legge 24 luglio 1985, n. 409 (Istituzione della professione sanitaria di odontoiatra e disposizioni relative al diritto di stabilimento ed alla libera prestazione di servizi da parte dei dentisti cittadini di Stati membri delle Comunità europee).

Le prime due disposizioni censurate prevedono la possibilità di iscrizione al nuovo Albo professionale degli odontoiatri per i laureati in odontoiatria e protesi dentaria, e per i laureati in medicina e chirurgia in possesso di specializzazione in odontoiatria, e ne sanciscono l’incompatibilità con l’iscrizione a qualsiasi altro albo professionale, salvo che per i laureati in medicina e chirurgia che siano in possesso di diploma di specializzazione nel campo odontoiatrico, che possono essere iscritti anche all’Albo dei medici-chirurghi.

La terza delle norme impugnate prevede, invece per i laureati in medicina e chirurgia iscritti al relativo corso di laurea anteriormente al 28 gennaio 1980, privi di specializzazione ma abilitati all’esercizio professionale, la facoltà di optare, nel termine di cinque anni, per l’iscrizione all’Albo degli odontoiatri.

Il giudice a quo ritiene che le disposizioni censurate:

a) diano luogo ad un’evidente disparità di trattamento tra medici generici che, volendo continuare ad esercitare la professione di odontoiatria, perdono l’iscrizione all’albo dei medici-chirurghi, e medici specialisti che invece possono mantenerla;

b) violino il principio della libertà di scelta, per i medici non specialisti, della propria attività lavorativa (art. 4 della costituzione) attraverso la potenziale perdita dell’abilitazione (già da tempo acquisita) a prestare, attività medica generica, negando, peraltro, in violazione dell’art. 33, comma quinto, della Costituzione, ogni concreto valore all’abilitazione professionale conseguita.

2. - Non si sono costituite le parti ma è intervenuta l’Avvocatura Generale dello Stato eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione sulla rilevanza. Dall’atto di remissione, infatti, non risulterebbe in quale modo le norme impugnate possano incidere sulla definizione del giudizio a quo, ne quale sia la posizione professionale rivestita dagli attori.

Le questioni sarebbero poi inammissibili anche perché, con esse, si richiederebbe sostanzialmente alla Corte di integrare la legge prevedendo un’ulteriore particolare categoria di medici aventi diritto a svolgere attività odontoiatra, e cioè quella di coloro che l’abbiano già svolta senza essere in possesso della relativa specializzazione. Tale integrazione - amenoché non si voglia ammettere indistintamente tutti i medici generici a svolgere attività di odontoiatra (così sovvertendo però la volontà espressa dal Parlamento nel senso della separazione delle due professioni) - richiederebbe l’individuazione e la specificazione di elementi rimessi all’esclusiva discrezionalità del legislatore.

Nel merito, le questioni risulterebbero comunque infondate. È di tutta evidenza infatti che non può postularsi parità di trattamento tra categorie del tutto differenziate quali sono quella dei medici chirurghi specializzati in odontoiatria e quella di chi non abbia tale specializzazione, mentre, per quanto concerne la lamentata violazione dell’art. 4 della Costituzione, l’Avvocatura osserva che le norme impugnate non comprimono il diritto dei medici generici (a continuare) a svolgere attività dentistica, anche se la nuova regolamentazione dell’odontoiatria, quale attività professionale autonoma, non poteva non comportare una più rigorosa determinazione dei requisiti necessari ad esercitarla.

Non sarebbe infine sostenibile una violazione dell’art. 33 della Costituzione dal momento che gli attori pretendono la contemporanea iscrizione in due Albi professionali pur avendo titoli che giustificano l’iscrizione ad uno solo di essi.

 

 

Considerato in diritto

1. - È stata sollevata in riferimento agli artt. 3, 4, 33, comma quinto, della costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, 5 e 20 della L. 24 luglio 1985, n. 409 (Istituzione della professione sanitaria di odontoiatria e disposizioni relative al diritto di stabilimento ed alla libera prestazione di servizi da parte dei dentisti cittadini di Stati membri delle Comunità europee), in base ai quali è prevista, per i laureati in medicina e chirurgia iscritti al relativo corso di laurea anteriormente al 28 gennaio 1980, privi di specializzazione ma abilitati all’esercizio professionale, la facoltà di optare, nel termine di cinque anni, per l’iscrizione all’albo degli odontoiatri istituito con la legge citata, perdendo il diritto alla contemporanea iscrizione all’albo dei medici chirurghi.

Si sostiene dal giudice a quo che le disposizioni censurate danno luogo ad una evidente disparità di trattamento (art. 3 della costituzione) tra i medici generici - che, volendo esercitare la professione di odontoiatra, optino per l’iscrizione al relativo albo professionale, perdendo così (come previsto dal combinato disposto degli artt. 4 e 5 della legge istitutiva della professione sanitaria di odontoiatra) l’iscrizione all’albo dei medici chirurghi - e i medici chirurghi specialisti in odontoiatria ai quali soltanto è consentito dall’art. 5 della stessa legge di ottenere la doppia iscrizione.

Si soggiunge che risulterebbe anche violato, nei confronti dei medici non specialisti in odontoiatria, il principio della libertà di scelta della loro attività lavorativa (art. 4 della costituzione), attraverso la potenziale perdita dell’abilitazione (già acquisita) a prestare l’attività medica in generale, negandosi così, in violazione dell’art. 33, comma quinto, della costituzione, ogni concreto valore all’abilitazione professionale conseguita.

2. - Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità dedotta dall’Avvocatura generale dello Stato, in quanto, diversamente da quanto eccepito, dal contesto dell’ordinanza di remissione appare sufficientemente motivato il punto della rilevanza delle questioni sollevate rispetto alla definizione del giudizio a quo.

Parimenti infondata è l’altra eccezione di inammissibilità, basata sulla considerazione che l’ordinanza tenderebbe ad un intervento integrativo di questa Corte, preclusole della difficoltà di individuare - a differenza che per i medici specialisti - i criteri in base ai quali concedere a quelli non specialisti di esercitare la professione di odontoiatra: a meno di non consentire a tutti i medici chirurghi non specialisti di svolgere entrambe le attività, cioè quella di medico chirurgo e quella di odontoiatra, il che equivarrebbe ad un radicale capovolgimento della volontà espressa dal Parlamento nel senso della separazione delle due professioni.

L’eccezione muove da una errata interpretazione dell’ordinanza di rimessione perché questa tende non già ad ottenere che i medici chirurghi iscritti al relativo albo professionale siano ammessi alla iscrizione nell’albo degli odontoiatri - il che renderebbe influente il profilo dedotto dall’Avvocatura dello Stato circa l’individuazione di tali criteri - ma prospetta la questione in termini esattamente opposti, in quanto tende a conservare in capo a quei medici che, in virtù dei requisiti ben determinati dall’art. 20, possono svolgere la professione di odontoiatra la possibilità di rimanere iscritti al loro originario albo di appartenenza.

Rileva, difatti, il giudice a quo che, prima della entrata in vigore della legge del 1985, l’abilitazione alla professione di medico-chirurgo dava di per sè titolo all’esercizio dell’odontoiatria non essendo all’uopo richiesta la specializzazione in questa disciplina. Per effetto del combinato disposto delle disposizioni denunciate i medici-chirurghi non specializzati, che già avevano titolo ad esercitare, assieme alla professione di medico-chirurgo, anche l’odontoiatria, devono invece ora optare, ai fini dell’esercizio di quest’ultima attività, per l’iscrizione all’Albo degli odontoiatri, perdendo così il diritto - invece conservato ai medici chirurghi specializzati in odontoiatria - a rimanere iscritti anche all’albo professionale dei medici chirurghi.

L’eccezione di inammissibilità va dunque disattesa in quanto, la soluzione della questione non richiede, da parte di questa Corte, la preventiva individuazione, ai fini dell’iscrizione all’albo, dei criteri per la determinazione dei relativi requisiti, essendo essi già ben determinati per legge.

3.1. - La questione, sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione è fondata.

In proposito va ribadito che prima della legge 24 luglio 1985, n. 409, la professione di medico chirurgo e quindi l’iscrizione al relativo albo, consentiva di per sè l’esercizio della odontoiatria, ai sensi del regio decreto legge 16 ottobre 1924, n. 1755, convertito nella legge 21 marzo 1926, n. 597, non essendo all’uopo richiesta apposita specializzazione, che pur poteva all’epoca conseguirsi dopo la laurea.

La legge n. 409 del 1985, nell’istituire la professione sanitaria di odontoiatria, nonché il relativo albo professionale (artt. 1 e 4), ha previsto che a quest’ultimo possano iscriversi quanti sono in possesso della laurea in odontoiatria e protesi dentaria (istituita con il decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 1980, n. 135) e della relativa abilitazione all’esercizio professionale, conseguita a seguito di superamento di apposito esame di Stato, nonché i laureati in medicina e chirurgia, anch’essi abilitati all’esercizio professionale e n possesso del diploma di specializzazione in campo odontoiatrico. Ma l’iscrizione all’albo degli odontoiatri e l’esercizio della relativa attività professionale è, altresì, consentita (come si è già rilevato nell’esaminare l’eccezione di inammissibilità), seppure, in via transitoria, e cioè “nella prima applicazione” della legge in parola, anche ai laureati in medicina e chirurgia iscritti al relativo corso di laurea anteriormente al 28 gennaio 19

80, abilitati, all’esercizio della professione di medico-chirurgo, purché optino per l’iscrizione all’albo degli odontoiatri entri cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge (art. 20).

L’iscrizione all’albo degli odontoiatri è incompatibile con l’iscrizione ad altro albo professionale (art. 4, terzo comma), salvo che per i laureati in medicina e chirurgia, abilitati all’esercizio della professione di medico-chirurgo, ed in possesso di un diploma di specializzazione in campo odontoiatrico, ai quali è consentito (art. 5) di mantenere, contemporaneamente all’iscrizione all’albo degli odontoiatri, quella all’albo dei medici-chirurghi. È dunque dal combinato disposto delle disposizioni testé illustrate della legge n. 409 del 1985 che si ricava, per i medici-chirurghi iscritti al relativo corso di laurea prima del 28 gennaio 1980, che siano abilitati all’esercizio professionale in medicina e chirurgia ed optino per l’iscrizione all’albo degli odontoiatri entro cinque anni dalla entrata in vigore della legge in esame, l’incompatibilità con l’iscrizione all’albo dei medici-chirurghi.

3.2. - Il contrasto con il principio di eguaglianza delle disposizioni da cui deriva tale incompatibilità appare evidente allorché si raffronti la situazione dei medici chirurghi non specialisti, iscritti al corso di laurea in medicina e chirurgia prima del 23 gennaio 1980 (ed in quanto tali ritenuti idonei dalla stessa legge del 1985 ad esercitare l’odontoiatria), con la situazione che riguarda i medici chirurghi specialisti, dovendosi considerare che, prima della entrata in vigore della legge del 1985, che ha separato le due professioni, la sola abilitazione in medicina e chirurgia dava titolo alla iscrizione all’unico albo professionale allora previsto, autorizzando anche all’esercizio dell’odontoiatria, indipendentemente dal possesso della relativa specializzazione. Nell’istituire nel 1985 l’albo separato degli odontoiatri con una disciplina che prevede “a regime”, per il futuro, l’iscrivibilità dei medici-chirurghi solo se forniti di specializzazione in odontoiatria, il legislatore si è preoccupato di salvaguardare “nella prima applicazione della legge” le situazioni pregresse, prendendo in considerazione (art. 20, legge cit.) i medici che si fossero iscritti al corso di laurea in medicina e chirurgia prima della istituzione, nel 1980, di quello in odontoiatria. La legge ha quindi riconosciuto il permanere della loro idoneità ad esercitare la professione di odontoiatra, idoneità che non poteva non riconoscere senza incorrere nell’ingiustificata lesione di un diritto (all’esercizio di una attività professionale) che già apparteneva a quei soggetti e che si sarebbe potuto sacrificare solo in presenza di esigenze meritevoli di tutela nel bilanciamento dei contrapposti interessi.

Una volta effettuato quel riconoscimento e, quindi, parificata ai fini dell’iscrizione all’albo degli odontoiatri, seppure in via transitoria (in quanto si tratta di una categoria di soggetti destinata ad esaurirsi nel tempo), la categoria dei medici-chirurghi a quella dei laureati in odontoiatria e protesi dentaria e a quella dei medici-chirurghi specialisti, non trova alcuna giustificazione l’aver privato i primi, che si fossero iscritti all’albo degli odontoiatri, di una nuova istituzione, del diritto di continuare ad essere contemporaneamente iscritti all’albo dei medici-chirurghi, come era loro consentito in virtù del solo titolo di laurea e della abilitazione professionale conseguita.

Né in proposito ha pregio la tesi, adombrata dalla Avvocatura generale dello Stato, secondo cui il divieto della doppia iscrizione sarebbe giustificato dal disegno perseguito del legislatore di separare, dal momento della entrata in vigore della legge istitutiva del nuovo albo, la professione di medico chirurgo da quella di odontoiatra. Il legislatore ha, invece, mostrato di non seguire in assoluto questa linea, avendo, nell’art. 5 della legge citata “a regime” la possibilità della doppia iscrizione per i medici specialisti in odontoiatria, onde è certamente discriminatorio che i medici-chirurghi non specialisti, per poter continuare ad esercitare una attività che fino a quel momento era loro consentita, debbano optare per l’iscrizione all’albo degli odontoiatri entro cinque anni dalla entrata in vigore della legge, perdendo il diritto a mantenere l’iscrizione all’albo dei medici chirurghi.

3.3. - La diversità del trattamento fra le due categorie di medici chirurghi, cioè quelli specializzati nel campo dell’odontoiatria e quelli non specializzati, non potrebbe neppure giustificarsi in relazione alla diversità delle rispettive situazioni e cioè in base al possesso, da parte dei primi, del titolo di specializzazione di cui sono invece sforniti i secondi. In proposito va rilevato che, una volta che la legge ha ritenuto la specializzazione non indispensabile, sia pure per un periodo transitorio, ai fini dell’iscrizione dei medici chirurghi all’albo degli odontoiatri - avendo equiparato ai medici specializzati quelli, di cui all’art. 20 della legge, non muniti di specializzazione - la diversità di trattamento consistente nella perdita della possibilità di iscrizione ai due albi, non può essere giustificata, sulla base del mancato possesso della specializzazione in odontoiatria. Difatti, per quel che riguarda l’esercizio della professione di medico chirurgo, il possesso o meno di tale specializzazione è assolutamente ininfluente.

Appare quindi irrazionale la prescrizione legislativa secondo cui la mancanza della specializzazione in odontoiatria incide sulla possibilità di mantenere l’iscrizione all’albo professionale dei medici chirurghi.

La disposizione sull’incompatibilità non può perciò ritenersi ispirata che dallo scopo di limitare l’attività concorrenziale nel campo dell’odontoiatria, restringendo il numero degli esercenti tale professione, con una previsione limitativa di un diritto appartenente, fino a quel momento, anche ai medici non specialisti, diritto che costituisce la naturale esplicazione di facoltà che derivano dai titoli di laurea ed abilitanti posseduti.

Ma tale scopo, diretto a limitare la concorrenza, non può giustificare nè la discriminazione, nè comunque il sacrificio di situazioni già acquisite, perché, come è stato più volte ribadito da questa Corte (v. da ultimo sentenza n. 56 del 1989), il legislatore può incidere su situazioni progresse sacrificando quelle di alcune categorie di soggetti, sempre che ciò risulti plausibilmente ragionevole e conseguente, come si è osservato, ad una equa valutazione dei contrapposti interessi.

Discende da tali considerazioni l’illegittimità costituzionale delle norme denunciate, perché esse vengono a privare - senza che sussista una ragione che plausibilmente la giustifichi - i soggetti indicati nell’art. 20 del diritto, già loro appartenente, di rimanere iscritti all’albo dei medici chirurghi, ove chiedano l’iscrizione all’albo degli odontoiatri per esercitare la relativa professione.

Consegue da ciò l’illegittimità costituzionale anche della norma la quale dispone che la richiesta dell’iscrizione all’albo di nuova istituzione debba intervenire entro il termine di cinque anni dalla entrata in vigore della legge. Il termine finale poteva giustificarsi solo in quanto collegato all’opzione. Ma, una volta esclusa l’incompatibilità per i soggetti in parola, l’iscrizione all’albo degli odontoiatri avviene non per effetto di una opzione, bensì di una richiesta, questa, come tale, non può essere sottoposta a termine quando, come nel caso in esame, sia collegata ad un’idoneità professionale già conseguita e riconosciuta.

4. - L’accoglimento della questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 3 della Costituzione rende superfluo l’esame dell’altra questione in riferimento agli artt. 4 e 33, comma quinto, della Costituzione.

 

Per questi motivi

 

la corte costituzionale

 

dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 4, 5 e 20 della legge 24 luglio 1985, n. 409 (Istituzione della professione sanitaria di odontoiatria e disposizioni relative al diritto di stabilimento ed alla libera prestazione di servizi da parte dei dentisti cittadini di Stati membri delle Comunità europee), nella parte in cui non prevedono che i soggetti indicati nell’art. 20, primo comma, ottenuta l’iscrizione all’albo degli odontoiatri, possano contemporaneamente mantenere l’iscrizione all’albo dei medici chirurghi così come previsto per i soggetti indicati nell’art. 5, e nella parte in cui prevedono che i medesimi possano “optare” nel termine di cinque anni per l’iscrizione all’albo degli odontoiatri, anziché “chiedere” senza limite di tempo tale iscrizione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 1989.

 

F.to: Francesco SAJA, Presidente

Vincenzo CAIANELLO, Relatore

Doro MINELLI, Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 9 marzo 1989.

 

Il Direttore della cancelleria

F.to: MINELLI